Da diversi anni ormai lavoro nell’ambito del reinserimento lavorativo di persone disoccupate e nella consulenza a persone che desiderano cambiare lavoro.
Negli ultimi mesi mi è capitato spesso di seguire donne che sono anche madri, con un livello medio alto di istruzione e che si trovano in una fase di “rimessa in gioco” professionale. I figli magari sono cresciuti e la loro vita, che era stata messa in pausa per occuparsi del cosiddetto “lavoro di cura”, si ritrova in balia di interrogativi e confusione. Un discorso simile, anche se con punti di attenzione diversi, si potrebbe fare per tutte quelle donne che si occupano dei propri genitori anziani e che inevitabilmente devono fare i conti con un altro tipo di "lavoro di cura".

Essere fuori dal mercato del lavoro per alcuni anni e essere donna sono ancora oggi ahimè due elementi che hanno un certo peso. Quando le redini della proprio vita vengono riprese in mano, e ci si dà lo spazio e il tempo di chiedersi….io quindi adesso chi sono? Cosa voglio fare? Cosa mi piace fare? Si può andare incontro ad un momento di crisi e provare emozioni contrastanti.
Non mi soffermo qui sui passaggi utili per cercare un nuovo lavoro (argomento che affronterò nei successivi post) ma sulla riflessione che mi colpisce a monte: perché? Cioè perché una donna nel diventare madre si trova a scegliere tra il suo lavoro, la sua carriera e la cura dei propri bambini?
Sebbene leggo spesso libri, articoli o sento trasmissioni in cui si parla di grandi passi in avanti da questo punto di vista, la realtà delle donne che incontro ogni giorno è che si sono occupate dei loro figli e hanno messo da parte le loro aspirazioni, la loro indipendenza, la loro realizzazione che pare in automatico diventare “secondaria” nella misura in cui sono diventate madri.

Chi ha deciso che è così? Chi ci ha insegnato che siccome sei la mamma devi occuparti di dare da mangiare, cambiare, accudire il tuo bambino costantemente e in percentuale maggiore rispetto al papà?
Chi ha deciso che se è malato tu devi chiedere permesso al lavoro, stare a casa o portarlo dal pediatra? Chi ha deciso che alle riunioni a scuola ci vai tu e che tu devi seguire tutto quello che concerne gli aspetti scolastici? Chi ha preso la decisione che nella mia vita essere madre significa scegliere in automatico che quello sarà il mio unico e prioritario ruolo?
Da quando sono madre anch’io osservo spesso come viviamo immersi in una cultura ancora così pregna di pregiudizi e di stereotipi che è molto faticoso leggere i messaggi che ci arrivano da fuori e fare i conti con cosa sentiamo dentro di noi. Compresi quei famosi “sensi di colpa” che tutte le donne penso abbiano sperimentato almeno una volta nella vita e il cruciale ed enorme tema del “carico mentale” che non ci lascia tranquille nemmeno di notte!

Quello che mi chiedo è se non sia importante ricordami-ci che la genitorialità è una “funzione”…bellissima, sfidante, complicata…ma che non dovrebbe in nessun modo farmi sentire senza scelta o senza possibilità di scegliere che oltre ad essere madre io sono e posso essere anche molto altro.
Quello che mi colpisce delle clienti che incontro è la rassegnazione o accettazione che questa sia stata la loro unica opzione e che solo oggi attraverso un lavoro di counselling fatto di ascolto, comprensione, domande e stimoli possano tornare a chiedersi: io che cosa so fare? In cosa sono brava? Cosa mi dà soddisfazione?
E voi cosa ne pensate di questo tema?
Valentina Bramati