Da quando è scoppiata la pandemia nel 2020 spesso mi interrogo e osservo quali modalità scegliamo per relazionarci con gli altri e mi chiedo come e se questo evento cruciale, e unico nel suo genere, abbia modificato la modalità di stare in relazione. In particolare mi soffermo su quello che ho osservato rispetto ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni.
La mia esperienza e quindi anche la mia osservazione parte dal vissuto professionale come Counsellor e come professionista nel campo dei servizi di orientamento e inserimento lavorativo.

Sicuramente da un lato i giovani hanno una maggiore predisposizione e conoscenza rispetto ai canali digitali, ma non è così scontato che sappiano utilizzarli o che li utilizzino come canale per relazionarsi ad altri, quanto piuttosto a volte come canale di fruizione di contenuti consumati individualmente. Questo aspetto con la pandemia si è notevolmente acuito, il digitale è stato un po' l’unico modo di “stare in contatto” con gli altri e anche uno dei principali strumenti utilizzati per riempire quello spazio vuoto che si era creato nelle nostre vite.
Se penso però ai ragazzi incontrati negli ultimi percorsi colgo una grande carenza proprio rispetto al loro “benessere sociale” e percepisco spesso solitudine e lontananza rispetto ai coetanei. Quando parliamo delle loro amicizie, dei compagni di scuola, o degli ex-compagni, nella fase di transizione tra la scuola e l’università o tra la scuola e il possibile lavoro, è come se ci fosse una grande disgregazione. Come se concluso un percorso all’interno di un’istituzione come la scuola che tiene uniti necessariamente, non ci siano relazioni abbastanza solide da “restare”. Tanto più per chi ha vissuto gli ultimi anni di scuola “da remoto”.

Spesso questa sensazione di legami, mi viene da dire “friabili”, emerge anche nelle relazioni con famigliari, parenti stretti o amici, come se mancassero delle radici solide, costruite, curate e a volte anche combattute ma nelle quali ho fiducia, nel mio stare con l’altro. Le relazioni “buone” sono luoghi di confronto, di ascolto, accoglienza e anche messa in discussione a volte, spazi nei quali trovo supporto, risorse e stimoli per stare bene. Nelle storie che ascolto di recente colgo una grande mancanza di relazioni e soprattutto un disinvestimento, quasi come se il virtuale avesse fagocitato la nostra capacità di investire nelle relazioni.

Mi colpisce come a volte la loro assenza (ovvero l’assenza di relazioni stabili e significative) porti la persona ad una privazione di benessere a 360 gradi, che percepisco anche nel corpo dei miei giovani interlocutori, che mi appaiono privi di energia e svuotati nei visi.
In questo senso penso che i canali digitali e i social possano essere un canale di relazione laddove la relazione è stata costruita, e quindi esiste già, ma non come modalità di relazione ex-novo che risulta essere ancora più “debole” e consumata velocemente.
Rispetto a questo mi resta una domanda aperta: esiste una relazione tra questa carenza di relazioni e la pandemia? Incertezza, isolamento e paura possono avere intaccato o modificato la nostra modalità di relazione o questo malessere è presistente e ora appare in modo più chiaro?
Ai posteri l’ardua sentenza…..o a noi che li osserviamo e viviamo ogni giorno in qualità di genitori, adulti, insegnanti, professionisti?

Valentina Bramati